LA VIOLENZA E LE SUE RADICI MAI SRADICATE
La violenza e le sue radici mai sradicate
La Nuova Sardegna 23 gennaio 2022
di ANTONIETTA MAZZETTE
I due omicidi che si sono susseguiti in Sardegna a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro hanno negativamente inaugurato il 2022. A uno sguardo distratto possono parere lontani anni luce dalla nostra epoca, concentrata com’è sulla pandemia e sugli effetti nefasti che questa sta determinando in termini tanto di disuguaglianza e impoverimento della popolazione, quanto di logoramento sociale, oltre che in termini sanitari
Eppure, questi omicidi si collocano nel solco più profondo della criminalità sarda, come un fiume carsico che attraversa sotterraneamente i territori e che all’improvviso si manifesta nelle sue forme più violente. Infatti, le nostre mappature degli omicidi – mi riferisco al fatto che come Osservatorio sociale sulla criminalità monitoriamo quotidianamente alcuni reati che presuppongono l’uso della violenza, a partire dagli omicidi – testimoniano che la Sardegna si colloca stabilmente tra le regioni maggiormente interessate dal fenomeno, preceduta soltanto da Sicilia, Calabria e Campania, nonostante complessivamente a livello nazionale vi sia stato un costante calo che ha toccato anche la nostra Isola.
È particolarmente significativo, inoltre, il fatto che nell’Isola il ricorso alla minaccia continui ad essere troppo alto, reato che peraltro spesso precede l’omicidio e per il quale la Sardegna si colloca ai primi posti, immediatamente dopo quelle regioni dove la criminalità organizzata ha un peso preponderante. Questi ultimi due omicidi all’apparenza presentano alcuni tratti comuni: si collocano in aree ben delimitate e che corrispondono a quella zona a rischio già individuata dalla Commissione Medici nel 1972, per la quale le radici storiche della criminalità sarda andrebbero ricercate nell’attività economica allora prevalente, il pastoralismo nomade; l’occupazione delle vittime (erano allevatori); l’aver commesso gli omicidi negli ambienti più famigliari alle vittime, l’abitazione e l’ovile.
Ma, al di là di questi elementi che sembrano accomunare i due casi di violenza, è bene sottolineare che ogni omicidio è una storia a sé che può essere compresa solo dopo la conclusione delle indagini degli inquirenti. In attesa, però, ci dobbiamo porre delle domande.
Si tratta di un residuo del cosiddetto codice barbaricino di cui aveva trattato Antonio Pigliaru? E se sì, com’è che questo involucro resiste nonostante siano scomparsi da tempo i presupposti materiali (struttura economica e struttura sociale) su cui poggiava, almeno fino agli inizi degli anni ’60 del Novecento? Cosa è stato fatto in questi decenni per modificare una cultura omertosa diffusa, l’unica che possa alimentare e tenere in vita comportamenti, spiriti di vendetta e pratiche di violenza estrema, quali sono gli omicidi pianificati come sembrano essere questi ultimi due casi? E ancora, perché la diffusione delle armi in quest’area è un problema che sembra persistere e come mai il loro possesso non è considerato un disvalore sociale, prima ancora che giudiziario?
Non bastano i richiami all’unità e alla solidarietà verso le famiglie degli uccisi, vanno fatte profonde riflessioni sul perché, ancora oggi, degli individui ricorrano all’uso della violenza, qualunque sia la loro motivazione o presunta tale.
Ogni comunità, in particolare quelle di piccole dimensioni, ha una profonda conoscenza di sé stessa, dei retroscena e dei protagonisti, così come ogni comunità ha al suo interno potenzialità e risorse sociali per intervenire e possibilmente prevenire. Ma per far ciò ogni comunità non può essere lasciata sola, ha bisogno anzitutto della presenza non episodica dello Stato in tutte le sue articolazioni.
Con ciò non voglio sostenere che ci troviamo di fronte a una cronaca di una morte annunciata. Le comunità coinvolte probabilmente non hanno avuto sentore di ciò che poi è successo, ma questi tragici eventi dimostrano, ancora una volta, l’insufficienza degli interventi di contrasto all’uso della violenza, a partire da quelli educativi.