NON BALENTE, MA TRAFFICANTE GRAZIANO, QUANTE OCCASIONI SPRECATE

NON BALENTE, MA TRAFFICANTE GRAZIANO, QUANTE OCCASIONI SPRECATE

Raramente la vita ci offre una seconda opportunità e ciò riguarda tutte le sfere dell’esistenza individuale che hanno a che fare con la salute, i sentimenti, il lavoro, le amicizie, e così via. Quando ciò accade generalmente siamo grati e facciamo di tutto per tenerci stretta questa seconda chance. Graziano Mesina questa opportunità l’ha avuta quando il presidente della Repubblica Ciampi gli ha concesso la grazia, ricevendo, si badi bene, il dono più prezioso che un essere umano possa avere: la libertà. Che ne ha fatto di questo dono? Dopo un periodo di ‘inspiegabile successo’, dalla richiesta di autografi a quella di accompagnatore turistico nei luoghi oscuri dei sequestri, ben presto ha riorganizzato la sua vita criminale mettendosi al passo con i cambiamenti che nel frattempo erano intervenuti nel suo mondo di provenienza: non più sequestri di persona, bensì grandi traffici di stupefacenti, ponendosi a capo di una fitta rete che lo ha visto coinvolto con persone tanto della criminalità locale, quanto di quella che comunemente chiamiamo criminalità organizzata di stampo mafioso. E a chi ora sui social scrive che un povero uomo di 79 anni non può andare in carcere, suggerisco la lettura della sentenza di condanna definitiva, soprattutto nelle parti che riportano le parole che Mesina ha pronunciato (dalle minacce alle intimidazioni per chi non rispettava le sue regole, agli ordinativi di ingenti quantitativi di droga e persino a banali truffe) e che sono parte integrante delle intercettazioni e della conseguente condanna. Come ha scritto la collega Romina Deriu nel suo saggio contenuto nel volume Droghe e organizzazioni criminali in Sardegna, esiste un linguaggio criminale che racconta bene, senza mediazioni, quali siano i ruoli, i rapporti di potere, la pericolosità dei protagonisti che possono emergere dalle intercettazioni. Ebbene, durante la nostra analisi delle sentenze (compresa quella che ha riguardato Mesina) che è stata riportata nel libro sopracitato, la domanda che più volte mi sono fatta è stata proprio quella del perché abbia voluto sprecare questa seconda opportunità di vivere libero e in pace con sé stesso, oltre che con i suoi compaesani. Ovviamente non ho risposte in merito e, probabilmente, ormai non è neppure importante averle. Sicuramente è stata una scelta consapevole e razionale di valutazione dei costi e dei benefici e l’unica cosa che possiamo fare è stendere un velo di pietas su questa (a mio avviso) vita sprecata. C’è però un aspetto strutturale della sua latitanza che va sottolineato, il fatto che delle persone lo abbiano aiutato e coperto per molti mesi. Quando sui media si favoleggiava di una sua fuga all’estero, ho sempre ritenuto che in realtà non si fosse mai allontanato dal suo humus omertoso, perché è l’unico che avrebbe potuto garantirgli sostegno, esattamente come è accaduto e continua ad accadere per i latitanti delle mafie che quasi sempre rimangono nei ‘loro’ territori. Questo elemento contiene almeno due aspetti problematici: 1. non bastano gli strumenti giudiziari per sconfiggere l’omertà, sono necessari profondi cambiamenti culturali che dovrebbero investire anche il nostro comune linguaggio come, ad esempio, l’equivoco uso del termine balente, o una falsa idea di ospitalità sarda; 2. le caratteristiche della criminalità locale ben si adattano a quelle di stampo mafioso ed è questo fatto a rendere i cambiamenti in atto assai pericolosi. D’altronde, tutta la più recente storia criminale di Mesina rappresenta una sorta di manifesto della saldatura ormai consolidata tra fenomeni criminali tradizionali e di tipo territorializzato con fenomeni globali e de-territorializzati, quali sono quelli del mercato delle droghe e che fanno capo ad associazioni nazionali ed internazionali di stampo mafioso. Saldatura che fino a qualche lustro fa veniva ritenuta dalla grande maggioranza degli studiosi del fenomeno non solo improbabile, ma addirittura impossibile.